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Mitologia / Sala Poseidon
Poseidon, il dio dalla chioma azzurra ...
di omerica memoria
Poseidon, il Nettuno latino, fratello di Giove, il “dio dalla chioma azzurra” di omerica memoria, è il potente signore del mare che provoca temporali e tempeste, terremoti e maremoti. Questo temibile dio dell'Olimpo, progenitore di giganti e ciclopi, non dimenticava facilmente le offese dei mortali tanto che scatenò tutta la sua ira contro Ulisse, dopo l'accecamento di suo figlio Polifemo, costringendolo a peregrinare per tutto il Mediterraneo prima del suo ritorno a Itaca. Spesso viene raffigurato col tridente, per eccellenza l'arma dei pescatori di tonno, alla guida di un cocchio con cavalli dalla criniera d'oro, che procede maestoso sulle onde circondato da una corte di tritoni, nereidi e delfini. La mitologia classica faceva del mare la sede di Nettuno. Molti miti si riferiscono a questo dio, originati dalla natura del mare e dallo stretto rapporto dell'uomo con l'elemento equoreo. Il culto di Poseidon era assai diffuso in tutto il mondo ellenico e lo era anche nell'arcaica Messina, ricco emporio commerciale e strategico baluardo militare sul mare. L'area dello Stretto è sempre stata una zona ad alto rischio sismico. Il nome di Reggio Calabria, l'antica Rhegion, per Strabone era dovuto alla “frattura” che separò la Sicilia dal continente. La tradizione vuole che fu proprio Nettuno a staccare con un colpo di tridente le due sponde. Protettore contro i terremoti, sembra che per questo il dio del mare fosse qui particolarmente venerato. Non pochi indizi collegano Nettuno a Messina. Mitico fondatore con i giganti del porto falcato è ritenuto suo figlio Orione, mentre pare che nella notte dei tempi i monti Peloritani si chiamassero Nettuni. La sopravvivenza di certi personaggi mitologici è dovuta al fatto che il popolo li vede ancora nelle immagini. In proposito Calogero Di Mino, in un suo studio demospicologico sulla marineria siciliana, porta ad esempio proprio il Nettuno peloritano, considerato “popolare” a Messina, fino ai nostri giorni, per via della cinquecentesca fontana del Montorsoli a lui dedicata. Tre templi nettuniani sullo Stretto A Nettuno sembra che vennero dedicati nell'antichità almeno tre templi sullo Stretto: uno sorgeva forse là dove oggi è ubicato il santuario di Dinnammare, sulla cresta dei Peloritani; un secondo pare si trovasse nei pressi di Capo Peloro e un terzo luogo di culto, infine, era all'interno della primigenia cerchia urbana di Messina, posto quasi a guardia dell'insenatura del porto. Sui resti del preesistente tempio pagano fu edificata la medievale chiesa della Santissima Annunziata dei Catalani risalente a epoca bizantina con influenze architettoniche arabo-normanne (XII-XIII secolo).
I Templi di Nettuno sullo Stretto
Un monumento al dio del mare...
dello scultore Giovanni Angelo da Montorsoli
Il culto di Nettuno era particolarmente sentito nella Messina grerco-romana, dove al dio del mare vennero dedicati diversi templi sullo Stretto. A conferma della fedeltà dei messinesi a questa antica tradizione fu realizzata nel 1557, per volontà del Senato cittadino, la bella fontana che porta il suo nome, opera dello scultore Giovanni Angelo da Montorsoli. Il monumento simboleggia la turbolenza delle acque dello Stretto coi mostri Scilla e Cariddi in catene ai piedi del dio del mare, che placa le onde. Oggi il fonte del Nettuno sorge al centro della piazza dell’Unità, di fronte al palazzo della Prefettura, in magnifica posizione panoramica sullo Stretto. Prima del sisma del 1908, però, la fontana era vicino al porto con la splendida cornice della Palazzata. La colossale statua del Nettuno, alta circa quattro metri, volgeva le spalle al mare, al contrario di come è adesso. Durante la rivolta antiborbonica del 1848 la fontana venne danneggiata dai bombardamenti. Il monumento resistette ai terremoti del 1783 e del 1908 e si trova nell’attuale sede dal 1934, dopo la sistemazione del lungomare cittadino. L’originale statua del Nettuno, sostituita nella fontana con una fedele copia di Gregorio Zappalà, è conservata al Museo Regionale di Messina, dove sono stati eseguiti i lavori di restauro per riportarla all’antico splendore.
Fontana del Nettuno a Messina
Il delfino e le anime degli annegati...
Il delfino, animale allegorico della salvezza
Il delfino è, per eccellenza, l’animale allegorico della salvezza, non a caso attributo di Poseidon. Il mito di Arione, in cui il citaredo grazie al suo canto viene salvato in mare dai delfini, presenta questo cetaceo come un positivo simbolo equòreo. Di esempi che come amico dell’uomo accorre in suo aiuto in mare è ricca la mitologia classica. Ulisse portava sul suo scudo l'immagine di un delfino perché il figlio Telemaco, ancora fanciullo, era stato soccorso in mare dall'intelligente, piccolo cetaceo. Delfi, il celebre santuario e oracolo d'Apollo, era così chiamato in suo onore. La città di Taranto fu fondata da Falanto giunto fin dal mare a cavallo di un delfino. Enalo e Fineide furono entrambi salvati da un delfino e così Icadio, il fratello cretese di Iapigio.
Portatore delle anime degli annegati
Il dio del vino, Dioniso, il Bacco dei romani, catturato dai pirati tirreni, li trasformò in delfini in modo da farli diventare buoni per accorrere in aiuto dei naufraghi. Nello Stretto di Messina, ad esempio, e in genere in tutta l’area del Basso Tirreno, l’ancestrale paura dei pescatori si deve alla credenza che il delfino sia portatore delle anime degli annegati.
Simbolo numismatico della Messina greca
Nella religiosità cristiana il delfino non ha perso la sua forte carica simbolica; si dice, infatti, che due delfini dal mare portarono in cima ai Peloritani la sacra immagine della Madonna, detta, poi, di Dinnammare, nello stesso sito dove forse prima sorgeva un tempio di Nettuno. È quindi ovvio che il delfino, sin dall'antichità, sia uno dei soggetti iconografici più ricorrenti, tanto da trovarlo riprodotto spesso in sculture e mosaici locali, come quello ad esempio, della Villa romana di San Biagio presso Castroreale, e nella numismatica della Messina greca.
La singolare caccia dei delfini nello Stretto
Il delfino sa essere al momento opportuno un predatore astuto e talvolta spietato, che preferisce agire in gruppo, osservando un rigido sistema di alleanze, ed è non solo capace di elaborare strategie sorprendenti per procurarsi il cibo ma di impiegare anche complesse e funzionali tecniche di caccia. Già l’erudito greco Eliano del II–III secolo d.C. avvertiva in un suo trattato che il delfino strappava le reti per cibarsi dei pesce e poteva compromettere la cattura dei tonni. Nella tradizione marinara, dunque, il delfino può diventare “fera maliditta” di cattivo augurio, al centro di superstizioni e talora caricato addirittura di poteri malefici o comunque soprannaturali. Nel XVIII secolo lo scillese Antonio Minasi, padre domenicano e professore di botanica nell’Università romana della Sapienza, ebbe modo di osservare e annotare il singolare fenomeno dello spiaggiamento attivo. I delfini attaccano in modo ben coordinato i pesci, sollevano ondate e spingono i pesci verso la riva. Quando le prede non hanno più vie di fuga, ammassate come sono a ridosso della battigia, vengono divorate fin sulla spiaggia fuori dall’acqua. Il botanico calabrese fece illustrare iconograficamente la spettacolare caccia dei delfini da disegnatori in una bellissima raccolta di incisioni dedicate al microcosmo ambientale e alla vita marinara dello Stretto di Messina. Fra le tavole artistiche con le puntuali didascalie del Minasi, una in particolare descrive la caccia degli abili delfini, che inseguono e assaltano branchi di tonni. Questi, una volta raggiunti, si difendono chiusi a triangolo dai cetacei, i quali però «con tre punti d’azioni, attaccandoli in semicerchio, gli vanno sempre controluce spingendo verso la riva». La tattica dei delfini ha buon gioco e la battaglia si trasforma in disfatta per i tonni.
Il delfino simbolo del mare
I delfini attirati dalla musica...
Il mito di Arione
L'Inno a Poseidon...
Altissimo ti lodo fra gli Dèi,
o Posidone marino dal tridente d'oro
che scuoti la terra, colmo d'acque vive:
intorno a te nuotando con le pinne
danzano i cetacei in cerchio:
camusi, con la nuca irta di setole,
agili, come su piedi leggeri
veloci saltano simili a giovani cani
alla corsa, amanti delle Muse.
delle vergini Neréidi nate da Anfitrìte,
che mi salvaste naufrago nell'aperto mare di Sicilia,
portandomi sui curvi dorsi
dalla terra Lydia alla riva del Tenaro,
tagliando il solco delle avverse correnti
lungo il difficile stretto,
quando uomini astuti, dalla cava nave
in viaggio sull'onde rumorose,
nel purpureo mare mi gettarono.
Salvatore Quasimodo
"Lirici greci" (Mondadori, Milano, 1945)
SALA 3 - SEBASTIANO TUSA
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